Se ad un disco decidono di collaborare artiste del calibro di Moor Mother (all’anagrafe Camae Ayewa, poetessa, musicista e attivista statunitense) e Skin (voce degli Skunk Anansie) bisogna per forza prestarci attenzione e quello che si va ad ascoltare è probabilmente di ottima qualità: così è per “Deep Dark Blue”, nuovo lavoro di R.Y.F., alias Francesca Morello, cantautrice italiana di base a Ravenna, un lavoro sottomarino, dalle sonorità a tratti disturbanti, che ricorda a tratti certe soluzioni sonore dei White Stripes e si sposta però su momenti ancora più elettronici, oscuri, cupi.

“Deep Dark Blue” è anche un disco d’amore però, un disco che racconta la sofferenza ma anche una parte gioiosa di rinascita dopo quella sofferenza: «A volte succede di vivere momenti di grande sofferenza, nel mio caso arrecati da problemi di salute di mia moglie. Ero “rotta dentro” e non sapevo se sarei tornata uguale a prima. Deep Dark Blue racconta come mi sono sentita e come vorrei ricostruirmi. Parlo tuttora della libertà di amare, per esempio, ma ho avvertito la necessità di parlare anche della sofferenza, perché legata a episodi della mia vita degli ultimi due anni, e ho cercato di farlo anche attraverso l’ironia, nel modo paradossalmente più gioioso possibile. Ha funzionato. Ecco perché questo è anche un album di guarigione» racconta la Morello.

“Blue”, primo singolo estratto, è un brano oscuro, in cui l’hip-hop si cala su un groove tanto potente quanto distonico, sul quale lo spoken word di Moor Mother arriva come un raggio di sole a squarciare le nubi e a rifrangersi sul mare in tempesta dal quale il brano sembra partorito.

Skin invece presta la sua voce e la sua penna (ha infatti co-scritto il brano) su “Can I Can U”, un pezzo electro-dance-house grintosissimo in cui gli ideali di sovversione queer e femminista, contro omofobia, transfobia e patriarcato, deflagrano in un ritornello che è un vero e proprio inno da mandare a memoria e cantare a squarciagola: «Can I? Can U / Be outrageously queer and stand here without any fear?».

Il pop-punk fa capolino invece in “Lies”, altro singolo estratto, un brano ironico, irriverente e travolgente che ricorda la migliore Peaches (non a caso omaggiata da una cit. nel testo) su cui svettano i synth (di Matteo Vallicelli, già nei Soft Moon).

“Deep Dark Blue” si rivela un coacervo di idee ben strutturate nonostante siano state partorite da uno sfogo per la sofferenza patita, un disco di clamoroso impatto che non può lasciare indifferenti e vi spingerà a tuffarvi negli abissi di profondissimo blu evocati da R.Y.F.

La vera difficoltà starà nel riemergere: quanto ne resterete ammaliati? E quanto sarete cambiati al ritorno in superficie?

Buon ascolto.